Conferenza del Prof. Bruno Callegher

Omaggio ad Augustus Spijkerman (1920-1973)

Conferenza del Prof. B. Callegher (7/11/2017)
Conferenza del Prof. B. Callegher (7/11/2017)

Le monete negli scavi del Khirbet Qumran (Scavi De Vaux)

I molti anni di frequenza dello Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, in particolare la ricerca numismatica condotta nel monetiere-medagliere connesso al Museo Archeologico dello Studium, mi hanno messo a confronto con la grande eredità di Augustus Spijkerman. Olandese, filologo di formazione, con dominio di varie lingue antiche e moderne, declinò la sua attività scegliendo ben presto di studiare la monetazione della Terra Santa. Chissà, forse nella seconda metà degli anni cinquanta questa sua scelta non dovette essere facile e ben compresa. Tuttavia la sua eredità culturale è di grande rilievo.

Se si osserva quanto fu in grado di realizzare - la collezione numismatica, le pubblicazioni, i contatti epistolari, la gestione del museo, l’assidua ricerca per la possibile salvaguardia di quanto rifluiva nei negozi e nei magazzini degli antiquari di Gerusalemme - e lo si distribuisce lungo i suoi soli 15 anni di attività, non ci si può esimere da un grato ricordo e da ammirazione. La solidissima formazione storico-filologica gli permise la pratica del tirocinio sul campo - cercare le monete là dove confluivano e negli scavi archeologici - con metodologie e strumentazioni che lo ponevano (allora forse inconsapevole) tra i cercatori innovatori, attivi nel Vicino Oriente subito dopo il secondo conflitto mondiale.

Per la sua sicura acribia, possiamo porre Spijkerman nel gruppo di studiosi capaci di elaborare dati e informazioni senza cedimenti a teorie eccedenti gli stessi dati. Dal suo lavoro e dalla sua bibliografia, infatti, deriveranno informazioni valide ancora oggi e utili, perché inserite in un quadro di riferimento complessivo, storico e archeologico ben definito. Non si trattò solo della conferma di quanto già conosceva, ma della scoperta di novità, della soluzione di dubbi, della costruzione di veri e propri sistemi documentali finalizzati sia alla conoscenza sia ad uso formativo e didattico per quanti, dopo di lui o anche contemporanei al periodo della sua attività - notevole l’interazione con Henry Seyrig (1895–1973) -, avrebbero dovuto esaminare documenti analoghi nel campo della monetazione.

E soprattutto sotto l’aspetto metodologico Spijkerman diede prova di saper adattare conoscenze e competenze a quanto andava studiando, rinnovando i modelli di osservazione e la registrazione dei dati. Il suo metodo era basato sul riconoscimento oggettivo di quanto vedeva e riusciva a descrivere; non si sottraeva a discussioni e a confronti - esemplare il dialogo con Ya'akov Meshorer (1935–2004) -, a minuziose ma necessarie descrizioni per future elaborazioni. Ne sono prova i documenti redatti nello studio delle monete che Roland De Vaux (1903-1971), domenicano dell’École Biblique, gli affidò tra il 1957-1958, quindi a scavi archeologici prossimi alla conclusione.

L’insieme dei ritrovamenti monetali delle campagne di scavo di De Vaux è composto da ca. 680 monete. Nell’identificarle, Spijkerman seguì i più aggiornati repertori, le ordinò conservando scrupolosamente il rinvio al contesto stratigrafico, le conservò nel museo, tenendole separate dalla collezione dello SBF. Di particolare rilievo fu l’elaborazione di una scheda identificativa per ogni esemplare, comprendente tutte le informazioni, che gli permise di elaborare al termine della catalogazione uno schema sintetico di grande utilità per gli archeologi, perché potevano rapidamente connettere il dato numismatico a quello stratigrafico-cronologico. Quanti scrissero su questa importante documentazione monetaria procedettero purtroppo prescindendo non solo dalle informazioni d’archivio di Spijkerman ma perfino dall’esame autoptico delle monete, con il risultato di diffondere dati imprecisi se non errati sulle monete, e notizie molto parziali sul lavoro svolto da Spijkerman, che sono state causa di fraintendimenti.

Analogo metodo seguì il Nostro nell’esame del tesoro di 561 monete d’argento, per lo più tardoseleucidi, il famoso tesoro di Khirbet Qumran interrato in tre diversi angoli dello stesso Locus 120 intorno ai primi anni del primo secolo a.C., oggi in parte disperso, ma che grazie alla prima classificazione di H. Seyrig e al successivo riscontro di Spijkerman, compresa un’interessante campagna fotografica, si può ricomporre nella sua originaria composizione.

Tesoro e ritrovamenti isolati, oggi finalmente in corso di studio per la ricomposizione dell’intero e per fare chiarezza sulle interpretazioni di amateurs numismatici, ci diranno molto circa la cronologia e la funzione del sito. Le monete indicano, a titolo di esempio, che non si può neppure ipotizzare che le 561 monete, collocate in tre ripostigli diversi, appartenessero ad altrettanti tesori: facevano parte, come avevano ben compreso Seyrig e Spijkerman, di un unico interramento, separato in tre parti per rendere più sicuro il nascondimento di una ricchezza piuttosto cospicua. Il tesoro, in conclusione, era unico. Ancor meno regge alla prova dei dati numismatici e archivistici l’ipotesi che in due delle tre frazioni vi fossero esemplari di monete di Caracalla, eventualità che sposterebbe, come è stato proposto da qualche studioso, l’intera cronologia del sito fino ai primi decenni del III secolo. La cronologia è quella suggerita da Seyrig e poi confermata da Spijkerman: “Pour ce qui est de la date d’enfouissement, la pièce décisive est le tétradrachme — jusqu’ici unique — de l’an 118 de Tyr (9/8 av. J.-C.). Mais cette date est seulement approximative, car l’an 118 est suivi d’une lacune insolite dans les émissions : on ne connaît jusqu’ici aucune monnaie d’argent des années 119 à 122, ni 124, cependant que 123 et 125 ne me sont connues chacune que par un seul exemplaire. Ce n’est qu’en 126, que l’atelier reprend des émissions abondantes, qui seraient certainement représentées dans le trésor si celui-ci eut été enfoui après cette date. L’enfouissement a donc dû se produire vers 126 au plus tard (1 av. J.C. / 1 ap. J.-C.) (Lettera di H. Seyrig a R. De Vaux).

Per quanto attiene la stragrande maggioranza delle monete recuperate nello scavo, ossia nei vari loci o strati del sito, essa si pone tra il periodo asmoneo e la prima rivolta antiromana. Sono varie centinaia di esemplari, quasi tutti di modesto valore: prutot e frazioni di prutot, ossia i valori più piccoli. Vi è anche un numero significativo di tetradrammi isolati.

Cosa possiamo dedurre da questi dati se si considera, per dare un’idea dei fatti, la statistica delle perdite annuali di monete? Tenuto conto dell’estensione tutto sommato ridotta del sito, se ne deduce che a differenza di quanto si verificava in genere nella vita quotidiana di numerosi altri insediamenti, le monete svolsero a Qumran la funzione liberatoria per tutti gli scambi, per un numero elevato di transazioni di entità variabile, dalle più grandi (tetradrammi) alle più piccole. Insomma, il numismatico e storico della moneta ha tutte le ragioni per ipotizzare che questa sia stata un’area mercantile, tanto più se si confronta il numero di monete recuperate negli scavi di luoghi molto più estesi e di siti definibili come città. Bastino i dati provenienti dagli scavi di Magdala (consideriamo l’area di propietà della CTS): ca. 500 monete asmonee-erodiane, e da Gerusalemme: migliaia di esemplari asmonei-erodiani. Le proporzioni tra estensione del luogo e ritrovamenti di monete, come si vede, sono notevolmente a favore di Qumran.

Il sito fino alla prima rivolta non può essere considerato come luogo di un’economia chiusa, con relazioni verso l’esterno limitate o governate da un’unica entità amministrativa interna al sito. Non si spiegherebbe, infatti, l’enorme quantità di piccoli nominali perduti e non più recuperati. Che cosa si potesse commerciare è compito degli archeologi stabilirlo. Si può di conseguenza concludere che l’area di Qumran fu monetizzata a lungo, dal I sec. a.C. fino ad almeno il 67/68 d.C. Dei periodi successivi le monete rinvenute ci documentano vicende connesse alla rivolta di Bar Kokhba, la saltuaria frequentazione del sito nel tardo antico e l’insediamento d’epoca bizantina.

Prof. Bruno Callegher
Università di Trieste